Fonte: https://www.scattidigusto.it/la-strada-del-pane-parte-da-san-marco-in-lamis-con-grani-futuri

Il valore universale del pane tra memoria, sacralità e futuro.
Antonio Mercaldi
Dal 21 al 23 giugno, a Stignano – San Marco in Lamis – si è tornati a parlare di pane. Ma non del pane come alimento – o almeno, non solo. A Grani Futuri, il pane è ogni anno un pretesto, un simbolo, un modo per guardare il mondo e rimetterlo in discussione. E quest’anno, con il tema “Il Pane della Speranza”, il messaggio è stato ancora più netto.

Un messaggio che, ancor prima di prendere forma tra i forni accesi e le parole condivise, ha trovato un senso più profondo in un accadimento che ha toccato nel profondo tutta la famiglia del Forno Sammarco.
Alla vigilia dell’evento, è venuta a mancare zia Maria, figura storica e amatissima, un vero punto di riferimento. Se n’è andata a 97 anni e un giorno, come se avesse voluto restare quanto bastava per vedere tutto pronto.
Questa edizione di Grani Futuri le è stata dedicata, in modo sobrio e sincero, com’era nel suo stile.
Perché il suo spirito resta – e continuerà a restare – nel profumo del pane buono, nel lavoro fatto con amore, nel sorriso rivolto a chiunque entri.

Ed è con questo sentimento silenzioso, ma vivo, che l’evento ha preso forma.
Perché Grani Futuri non è una fiera, non è un congresso, non è nemmeno un festival nel senso tradizionale del termine. È un evento complesso, stratificato, costruito con pazienza e visione da Antonio Cera, il fornaio economista che da San Marco ha saputo tessere una rete di pensieri, persone e parole attorno a un gesto antico: l’impasto, la cottura, la condivisione.
Il programma è stato articolato e ricchissimo. Le attività mattutine curate da Michele Bruno, ci hanno portato lungo cammini tra i campi e le spighe mature, parlando di mietitura a mano, osservando la molitura a pietra, ma anche attraversando conventi, luoghi della spiritualità, la Grotta di San Michele a Monte Sant’Angelo, tra i simboli più forti del Gargano. La sacralità del pane, nella sua forma più essenziale, ha trovato qui il suo spazio naturale: nei gesti lenti dei monaci, nei forni votivi, nei silenzi che parlano più di tante parole.

Ogni sera, momenti di condivisione e cene sono stati un concentrato di tecnica e cuore.
Ho avuto il piacere di vivere l’esperienza delle cene del 21 e 22, dove abbiamo trovato lo stile inconfondibile di Diego Rossi (Trippa, Milano) assieme al coinvolgente Oste Rosario Didonna(Ù Vulesce), per poi passare alle cena Stellata firmata da Errico Recanati (Andreina) con il Gargano rappresentato da Domenico Cilenti(Porta di Basso), per poi chiudere entrambe le cene con il dessert di Tiziano Mita(Due Camini).

Mentre all’esterno nelle postazioni food nella piazza, c’erano tanti altri rappresentanti della Puglia autentica e generosa come Diana Pia Pignatelli, Iginio Ventura, e vere e proprie istituzioni come Pietro Zito e Alfredo De Luca.
Accanto a loro, i maestri dell’arte bianca: Davide Fiorentini (O’ Fiore Mio, Faenza), Francesco Arena (Messina), Massimo Vitali (Cesenatico), Catello Di Maio (Torre del Greco), Tiziano Greco(Messina), Orazio Chiapparino (San Giovanni Rotondo), solo per citarne alcuni. In cucina e in sala si respirava collaborazione vera. Il pane – in tutte le sue forme – era il centro di ogni racconto gastronomico.
Tra i momenti più belli, il Pancotto Contest, tenutosi domenica 22: un dialogo fatto di piatti, pensieri e radici, con tre chef – Lele Murani (Terra Arsa), Nicola Martella (La Taverna di Peschici) e Gaetano Pezzicoli (Opus Art Event) – ciascuno con la propria visione del “pane povero”, tra memoria, ingegno e territorio.
Accanto a questo confronto gastronomico, si è svolto anche un momento simbolico e potente: la nascita della “Via del Pane”. I sindaci e/o i rappresentanti delle città pugliesi simbolo dell’arte bianca – Altamura, Guagnano, Mesagne, Andria, San Marco in Lamis – si sono ritrovati per condividere tradizioni, racconti e visioni.
Un cammino che parte dalla Puglia e guarda lontano, verso una rete viva fatta di forni, comunità e territori, per riconoscere nel pane un segno di appartenenza, dialogo e progetto comune.
È qui che si è posta la prima pietra: un gesto concreto che unisce la regione attraverso il valore della terra e della cultura agricola.
Un progetto di speranza che rafforza l’idea che il pane possa ancora essere visione, relazione, futuro.